Stagione / Stagione diffusa 2022/2023

3.11

Ore 20:45
Duomo Concattedrale di San Marco, Pordenone

L’Orchestra giovanile Filarmonici Friulani diretta da Alessio Venier e insieme a Francesco Gesualdi al bajon e Giovanni Ricciardi al violoncello presenta un concerto imperdibile inserito nel cartellone della 31esima edizione del Festival di Musica Sacra di Pordenone, curato da Franco Calabretto e Eddi De Nadai. Un programma di grande respiro europeo e di particolare attualità, con le Sieben Worte (1982) di Sofija Gubaidulina, ispirate ai testi evangelici della Passione, completate dallo struggente Cantus in memoriam Benjamin Britten composto da Arvo Pärt e dal Quartetto n.8 di Dmitrij Šostakovič, dedicato alle vittime di tutti i totalitarismi. 

INGRESSO LIBERO

Programma

Seven Words è un programma sul sacro e sul mistero liminare che avvolge il passaggio tra il mondo e l’aldilà. 

Il Cantus dell’estone Arvo Pärt, scritto nel 1980 per commemorare la morte del collega inglese, è diventato ormai un manifesto della sua poetica neorinascimentale, densa di richiami al passato e a una immediatezza immersiva di ascolto che crea sempre nuove suggestioni, grazie alla semplicità di una scala discendente e ai lontani rintocchi di una campana.

Seven Words, della compositrice russa Sofija Gubaidulina, è invece un’ampia meditazione sul mistero della crocifissione. Composta nel 1982 in omaggio a un’omonima cantata del 1645 di Heinrich Schütz (di cui vengono anche citati frammenti), mette in scena in maniera estremamente vivida le “ultime sette parole” di Cristo, simboleggiato dalla voce del violoncello che dalla metà del lavoro in poi diventa sempre più eterea e immateriale, a descrivere la progressiva ascesa dell’anima nell’approssimarsi della morte. Il bajan dialoga con il violoncello come una sorta di contraltare terreno, mentre l’orchestra d’archi acquista un ruolo di commento, quasi come nel coro della tragedia greca, ora innalzandosi, ora inabissandosi a seconda del momento narrato.

 

“Ho composto questo quartetto ideologicamente condannabile e di cui nessuno ha necessità. Mi sono detto che se dovessi morire un giorno nessuno penserebbe a scrivere un’opera in mia memoria. Così ho deciso di scrivermela da solo. Si potrebbe mettere sulla copertina Dedicato alla memoria dell’autore di questo quartetto”. Con queste parole nel 1960 Dmitrij Shostakovich parla del suo Ottavo quartetto, subito dopo averne concluso la composizione. Si tratta di un’opera estremamente concentrata e profondamente toccante. L’autore cita a più riprese proprie composizioni, inserendole in un tessuto in cui il tono tragico, ineluttabile e anche a volte crudele lascia pochi spazi a rare isole di serenità. Il quartetto tocca atmosfere allucinate, grottesche e scarne, in una scrittura che tuttavia è formalmente impeccabile e riesce a rendere appieno tutta la tragicità di un’esistenza condotta nel terrore di incappare nella censura stalinista. I celebri violenti accordi che aprono il IV movimento sono infatti una trasposizione musicale dei colpi degli agenti del KGB alla porta che il compositore attese tutta la vita, consapevole di produrre una musica non in linea con i dettami del regime. Il regime tuttavia non osò mai toccarlo direttamente, per non incorrere nello sdegno di tutta la comunità culturale mondiale.  

 

A. Pärt, Cantus in memoriam Benjamin Britten

S. Gubaidulina, Sieben worte 

D. Shostakovich, Quartetto n. 8